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PREFAZIONE
DAVID CRONENBERG: metamorfosi della visione
Quello che si vede
sullo schermo non è vivo, quello che succede tra lo spettatore e lo schermo
è vivo.
JEAN-LUC GODARD
Scrivere una monografia su DAVID CRONENBERG significa prima di tutto sgomberare
il campo da equivoci sommari e stereotipi "giornalistici", significa
recuperare la densità teorica della sua opera a scapito delle forzature
sensazionalistiche di certi interventi in odore di scandalo, significa lacerare
le coltri soffocanti gettategli addosso da certa critica adagiata su posizioni
conformiste e troppo golosa di facili etichette; significa dissolvere quella
ridda di incomprensioni ed assimilazioni qualunquistiche che hanno, per un decennio
almeno, crudamente mortificato il suo cinema.
Fra gli autori contemporanei della settima arte appartenenti alla florida corrente
del fantastico e dell'orrorifico, CRONENBERG ci sembra il meno compromesso con
un'idea di cinema mercantilmente asservita e sfacciatamente omologante; in mezzo
agli spericolati pasticheurs di quell'ingombrante panorama culturale, che si
è soliti, grazie ad una formuletta facile facile, definire postmodernismo,
appare come quello che ne ha schivato più facilmente le trappole e compreso
più profondamente le potenzialità significanti; di diritto appartiene
alla ristretta e privilegiata cerchia di coloro che sono riusciti a distinguersi,
con impeccabile autorità, dagli efferati guastatori dello splatter-punk
e dell'immaginario gore, in virtù della sobria concettualizzazione delle
estetiche horror e del sorprendente nitore intellettuale delle loro fantasie.
Ma la sua effettiva ed indubitabile importanza ci pare consista nell'essere
riuscito ad usare il mezzo cinematografico sfruttandone a pieno le peculiari
caratteristiche speculative ed illuminando i riflessi epistemologici del suo
complesso sistema linguistico. La sua professione di cineasta lo obbliga a fare
i conti, in prima persona, con la pervasività parassitante dell'immagine
e la centralità gnoseologica della comunicazione visuale contemporanea.
Fra villaggi globali, noosfere cibernetiche e universi virtuali, CRONENBERG
suggerisce un itinerario interpretativo nel caotico universo della massmedialità
imponendoci una verifica circostanziata e consapevole del nostro ruolo di spettatori,
costretti a convivere con nuovi modelli culturali ed inedite soluzioni espressive,
accentrando la sua multiforme immaginazione sulle problematiche dello sguardo
e della comunicazione visuale, facendo esplodere le nuove possibilità
conoscitive che ci attendono in quanto attori di questo ancora inintelligibile
scenario comunicativo perennemente in divenire.
Tutto questo sollevando interrogativi di stringente attualità e proponendo
nuove dinamiche ermeneutiche, ma anche recuperando saggiamente problematiche
filosofiche e formulazioni teoretiche abbandonate anzitempo, con frettolosa
e miope insipienza, o fatte passare sotto silenzio, grazie ad una conveniente
indifferenza e a fraintendimenti non disinteressati. Il suo cinema è
"un vero e proprio saggio sui mutamenti antropologici determinati dalla
pervasività dei media, [un cinema che] anticipa una tendenza nella comunicazione
visuale i cui risultati finali sono del tutto aperti: e sui quali si deciderà
gran parte del senso da dare al nostro essere al mondo. Per questo [la sua opera]
è un vero e proprio testo antropologico e come tale verrà trattato.
Come cioè una fiction che plasma e modella con un decennio di anticipo
i nostri modi di pensare e sentire. Una finzione che fa cultura. Con [i suoi]
film la comunicazione visuale, nel suo significato più persuasivo, penetra
letteralmente dentro i nostri corpi".
***
Il nostro percorso,
nonostante la rassicurante suddivisione in capitoli tematici, avrà natura
rapsodicae si svilupperà per rime e richiami interni, privilegiando la
concretezza del frammento significante piuttosto che l'astrattezza di un'idealistica
sintesi. Dopo questa prefazione, introduzione propedeutica alla nostra impostazione
metodologica, il primo capitolo consisterà in una veloce carrellata sulla
carriera registica di CRONENBERG, i suoi difficili rapporti con l'industria
e la critica cinematografiche, la sua raggiunta e conclamata autorità
espressiva, l'influenza delle sue proposte estetiche e concettuali, l'abbacinante
attualità delle sue inferenze, la comunanza delle sue idee con i più
intraprendenti e avanguardistici studi sulla civiltà massmediale.
Nel secondo capitolo, di complessa tessitura disciplinare poiché si spazia
dall'antropologia visuale alla saggistica estetico-filosofica, la cinematografia
cronenberghiana fungerà da pre-testo per una immersione partecipante
nel corpo comunicativo, per il disvelamento delle potenzialità gnoseologiche
della comunicazione visuale e per una inedita quanto innovativa analisi dei
molteplici e stranianti processi rappresentativi da questa messi in gioco; a
guisa di epilogo chiarificatore si è tentato un esercizio analogico fra
le suggestioni teoriche ed espressive del cinema del canadese e l'ancora influente,
oseremmo dire fondamentale, magistero epistemologico di WALTER BENJAMIN, non
dimenticando poi le provocatorie intuizioni di un GREGORY BATESON; ci è
sembrato che certe dimenticate e forse mai pienamente apprezzate riflessioni
metodologiche dei due personaggi in questione consentissero illuminanti paralleli
con il pensiero critico e le soluzioni estetiche del cineasta.
Il terzo capitolo è centrale: sia perché vi si dipartono - grazie
all'analisi "ravvicinata" di un singolo testo filmico: Videodrome
(id., 1983) - tutte le problematiche e le questioni teoriche che ci siamo proposti
di affrontare in questo lavoro, sezionando ed enucleando così la preziosa
ricchezza enunciativa del capolavoro cinematografico del regista, sia perché
rappresenta l'applicazione fattuale di un intendimento metodologico che tenta
di fare critica culturale con e dentro i feticci ed i materiali visivi che questa
cultura sostanziano. Si propone così un'ermeneutica esclusivamente visuale,
procedimento teoretico funzionale ed adeguato ad un panorama gnoseologico contraddistinto
da una capricciosa nonché lussureggiante emersione semiotica di puri
significanti e dalla comparsa di trepidanti quanto sfuggenti "sensibilità"
critiche.
A conclusione del capitolo, un esauriente apparato iconografico di frame tratti
da Videodrome, da intendersi non come sterile corollario né come scenografica
appendice, si rivelerà strumento indispensabile per l'attuazione ermeneutica
delle soluzioni metodologiche proposte: è solo concentrandosi sull'allure
iconica che se ne potranno eventualmente svaporare i feticci, solo una partecipazione
dinamica con l'oggetto d'indagine consentirà la risoluzione dei suoi
potenziali comunicativi, solo mettendo in esercizio lo sguardo e i suoi meccanismi
si renderà giustizia alla complessità ontologica del cinema di
CRONENBERG, è solo facendo ricorso all'organicità della merce
visuale che si svelerà l'ampio respiro teorico delle nuove metodologie
rappresentative.
Salvaguardando la purezza enunciativa e l'autonomia significante del regime
visuale, si rende possibile al lettore un montaggio "interno" e analogico,
una spazialità ermeneutica effettivamente globalizzante; col solo, labile
indizio della loro disposizione cronologica all'interno del film, ma slegate
da ogni vincolante vassallaggio nei confronti della parola scritta, le immagini
possono così respirare organicamente secondo la propria essenza, vivendo
gloriosamente di per se stesse.
Il quarto capitolo, infine, esorcizzerà l'appeal del fenomeno massmediale
e le seduzioni esegetiche tirate in ballo dai nuovi linguaggi, per cogliere
le possibili degenerazioni e le consustanziali "storture" dell'assetto
comunicativo attuale, decostruendo le riflessioni di uno dei suoi più
disponibili interpreti e divulgatori (MARIO PERNIOLA) e richiamando l'indispensabile
côté "negativo" del pensiero critico benjaminiano. Proprio
come la ricerca cinematografica di CRONENBERG, anche la nostra vuole essere
un'indagine "aperta" e circolare su di un panorama che poco abbisogna
di coercitive sistemazioni concettuali quanto piuttosto di frammenti e giustapposizioni
dinamiche.
***
Ci
siamo tenuti programmaticamente lontani dal consueto approccio bio-filmografico,
poiché non ci avrebbe evitato di cadere nelle secche di una nuova e francamente
inutile monografia squisitamente cinematografica sul cineasta canadese; si sono
così privilegiati o quei film che ci sono parsi più adatti ad
enucleare le problematiche che abbiamo esposto più sopra, o quelle sequenze
che permettevano una visione ravvicinata e sufficientemente analitica dei procedimenti
cinematografici e quindi delle prospettive metodologiche di cui si serve il
Nostro.
L'intendimento finale è quello di mettere in evidenza il carattere eminentemente
progettuale dei suoi intendimenti e la consistenza metalinguistica della sua
opera; ciò perché il suo cinema, così moderno e sconvolgente,
ci sembra un veicolo fra i più indicati per tentare di assorbire con
pienezza le rivoluzionarie eterotopie ontologiche della cultura massmediale,
riflettere sulla inadeguatezza dei vecchi strumenti interpretativi, accettare
la spinta decentrata, frammentaria, pluralistica delle nuove soluzioni rappresentative
e partecipare creativamente agli sconvolgimenti epistemologici portati dalle
nuove metamorfosi della visione.
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